lunedì 6 giugno 2011

i rappresentanti di aspirapolvere



Detesto i rappresentanti di aspirapolvere.
E quando dico aspirapolvere avete capito quale intendo.
Non sopporto la loro finta eleganza, i loro modi affettati per tattica, le loro mani dietro la schiena rassicuranti.
Mi irritano le loro sopracciglia aggrottate e i loro visi che simulano preoccupazione quando con un gioco di prestigio ti dimostrano che il materasso di tuo figlio è gonfio di polvere.
Odio l'aria complice che si permettono quando ironizzano sul tuo vecchio aspirapolvere esaltandone l'economicità. Ti danno del tirchio sporcaccione e pretendono di esserti simpatici.
Puah!
Sono peggio dei sorci.
Te li trovi in casa che neanche tu sai come. Poi valli a cacciare!
Cerchi di fargli capire che non hai tempo, sei senza soldi, non te ne frega niente di vivere in un ambiente asettico. Che mica ti devono operare a cuore aperto nel soggiorno, no?
Embè, niente: devono per forza strusciare la loro pezzetta di carta sul tuo pavimento e sfoggiare con sicurezza due o tre numeri che indicano la superiore potenza del loro prodotto.
Ma perché li mandano in giro a rompere le palle?
Chi ha studiato questa maledettissima strategia di marketing?
Come si può pensare che un prodotto buono non si venda così, come tutti gli altri, solo perché è buono?
Quale pessimistica o offensiva teoria c'è dietro questo disegno?
Chi seleziona e/o istruisce 'sti tomi?
Io non lo so.
Posso solo dire che quel granello di polvere sul pulsante accanto al mio nome deve rimanere lì! Perché mi piace!
C'è chi è allergico alla polvere e chi ai rappresentanti di aspirapolvere.
Io sono della seconda specie. E sono un caso grave.
Perciò, giù le mani dal mio campanello!
Chiarooooo?!

mercoledì 25 maggio 2011

i flash mob



Detesto i flash mob.
M'hanno rotto le palle.
Finché erano una novità, ancora ancora, ma adesso basta!
Ormai ogni occasione è buona per organizzare questi balletti idioti per pseudoballerini frustrati.
C'è una protesta? Ecco un flash mob.
C'è da pubblicizzare una catena di ristoranti? Un altro flash mob.
Qualcuno me lo dovrebbe spiegare 'sto fenomeno assurdo. Si danno appuntamento in un luogo pubblico e inscenano una coreografia generalmente squallida, con cui intendono sorprendere gli ignari passanti. Embè? Ti senti fico o cosa?
Che poi dico: a me che corro per prendere un treno o arrivare in tempo ad un appuntamento, di te che all'improvviso salti fuori e ti dimeni in stazione o in piazza insieme ad altri deficienti del tuo stampo, che me ne può fregare? Niente, è chiaro.
Allora che vuoi? Prendere per il culo?
Dice che è un modo per "smuovere gli animi", per "spingere le persone a liberare la propria energia".
Ma cammina! Smuoviti tu da davanti, fammi il piacere, ché se la libero io la mia energia, ti mando a cagare!
Eppure il fenomeno continua a crescere, purtroppo.
Agenzie che ti organizzino una di queste pagliacciate in qualche luogo di passaggio ne trovi a decine.
E questo si capisce. E' un modo come un altro per tirare su un po' di soldi. Alla faccia dei polli che pagano. E mi sta bene. Ma alle spalle del pubblico che viene coinvolto a sorpresa e trattato da coglione. Cosa che non mi va giù per niente.
Ma il colmo è un altro. E' che mobbers pronti ad accorrere al richiamo dell'evento come mosche sulla cacca, ce ne sono a migliaia. Pazzesco.
Roba che i sociologi ci piangono tutte le notti.
Perché l'imbecillità collettiva non è un tema allegro, da studiare.
E manco da trattare, a dirla tutta.
Perciò, meglio tacere e finirla qui.

lunedì 23 maggio 2011

gli specialisti



Detesto gli specialisti.
Per loro non sei un essere umano. Sei solo un organo, quello di loro competenza. Tutto lì.
Essendo specialisti, si sentono speciali. Forse credono di saper cogliere il tutto in un particolare. L'universo in un granello di sabbia. La vita in una cellula. Chissà. Invece sono grotteschi.
Tanto per cominciare quando, con quell'arietta da scienziati, studiano i risultati delle decine di analisi che gli hai portato. Immancabilmente sbuffano e con sguardo di sufficienza ti dicono che ce ne vorrebbero altre. Che solo con quelle pezze d'appoggio una diagnosi non si può azzardare. Dunque fanno ipotesi. Rinviano. Se ne fregano se tu intanto muori. Gli interessa di più non farsi la brutta fama di uno che non ci azzecca. Sono cinici. Se li preghi di dare una risposta alla tua sofferenza, di porre rimedio al tuo dolore, ti ridono in faccia. O ti guardano dall'alto in basso come fossi un ignorante, incapace di comprendere il nocciolo della loro scienza. Perseguono solo il loro fine. Generalmente si tratta di soldi. Qualche volta di carriera, o di fama.
Scienza? Ma poi chi l'ha detto che la medicina è una scienza? Spero che i fisici o i chimici davanti ai loro strumenti non brancolino nel buio come i medici davanti alle ecografie e alle tac. Glielo leggi dietro quegli occhialetti da dottore, che non ci hanno capito niente, che prendono tempo. Uno di loro tempo fa, al termine di una lunga disquisizione sulla natura del sistema cardiocircolatorio che portava ad una certa risposta sulla vita e la morte di un mio caro, ha aggiunto: "Poi bisogna calcolare l'imponderabile, che in medicina esiste sempre". Come dire: "Due più due fa quattro. Però a volte può anche fare cinque o tre". Nel caso specifico, il risultato è stato otto. La persona in questione, giudicata moritura, è viva e alla grande.
Ma fatemi in piacere, datevi meno arie, specialisti di nessuna certezza. Che dobbiamo morire lo sappiamo già. Di lezioni sul corpo umano e le sue miserie non abbiamo bisogno. Vorremmo solo una pasticca per stare meglio. O un taglietto che ci risolva un problema. Senza troppa letteratura. Senza pose accademiche. Senza arie. E se possibile, senza conti astronomici e richieste finali tipo "serve una ricevuta fiscale?". Grazie.

domenica 22 maggio 2011

le motocicliste



Detesto le motocicliste.
Casco integrale firmato, giubbotto tecnico fashion, leggings modellanti sexy. Che vuol dire? Grazia sprecata.
Il loro esibizionismo è gratuito. Oppure nasconde un secondo fine.
Con quei modi goffi ma gentili pretendono di innalzare il vessillo della femminilità su uno dei simboli del machismo. Roba da psicopatologia di una guerriglia sessuale. Quotidiana.
Quando arrivi al semaforo loro sono già lì. Non si sa da quanto tempo. Si studiano nello specchietto. Aggiustano la coda. Non sgasano e questo è un bene. Ma non partono neanche. Al verde, tirano la frizione con maggior cura per lo smalto nascosto sotto i guanti che per i cavalli scalpitanti nei loro quattro cilindri. Poi alzano la scarpetta alla moda dall'asfalto e danno pochissimo gas. Per un po' lasciano il piedino malizioso a mezz'aria. E un involontario zig-zag della loro moto ti mostra il perché. Poi per pietà la candela fa esplodere quel po' di benzina che serve a far muovere il mezzo.
Trantacinque, quaranta chilometri orari. Questo è il massimo dell'accelerazione femminile su due ruote. Che i cento e passa cavalli frustrati sotto la sella, scalcerebbero volentieri quei fuseaux scaraventandoli ai bordi della Colombo. Però se tu, centauro maschio, entrando in un viale sgombro di auto tenti di passarle all'interno, ti stringono. Allora sterzi all'esterno e quando finalmente le passi ti guardano come faceva tua madre quando le confessavi una fuga da scuola. Vogliono darti una lezione. Farti sentire colpevole.
Tzè!
Stessa cosa quando ti infili tra due file di macchine e guadagni quarti d'ora di vita smanettando un pochino. O quando ti prendi il gusto di forzare una piega. Perché sì. E' per questo che hai comprato la moto. E invece secondo loro no. Non si fa. E' pericoloso.
Come se il rischio fosse la velocità...
Roba che con quei lunghi foulard a fiori legati intorno al collo e svolazzanti per circa mezzo metro oltre la marmitta, potrebbero rimanere decapitate ad ogni uscita. Ma se ne fregano.
Stare attente non è compito loro. Tocca agli altri.
Perché sono donne, no?
Dunque non sono loro ad andare in giro con la moto. E' il mondo a girare sotto le loro ruote.
E così sarà per sempre. Fino all'ultimo semaforo.

mercoledì 18 maggio 2011

i gabbiani di Roma



Detesto i gabbiani di Roma.
Non c'entrano niente, sono fuori contesto.
In più, non fanno nulla per integrarsi. Non hanno nessuna intenzione di rispettare l'habitat, le gerarchie. Al contrario: cacciano selvaggiamente e vogliono comandare loro.
Ieri ne ho visto uno scannare un povero piccione (povero ma anche coglione), su un terrazzo del quartiere africano. Una scena impressionante. Dopo essergli volato accanto due o tre volte, quasi a conquistare la sua fiducia, il gabbiano all'improvviso ha allungato di scatto il collo, ha proteso il becco in avanti e ha afferrato il piccione per le zampe.
Non lo ha ucciso subito. Non gli ha dato il colpo di grazia. Lo ha lasciato morire piano piano mentre lui, con espressione fiera ma indifferente, si cibava della sua carne, lasciando di tanto in tanto qualche boccone alle cornacchie.
Ne avevo sentite, di storie del genere. Una in particolare, che riguardava due tartarughine d'acqua lasciate da un bambino su un terrazzo della Balduina e scomparse misteriosamente, dopo che la loro gabbia è stata ritrovata con un profondo squarcio nella parte superiore. Anche lì, tutti gli indizi portavano a uno di questi volatili.
Ma non avrei mai pensato di assistere un giorno dal vivo, da una finestra della città, alla furia assassina del gabbiano in azione.
No, non mi piacciono affatto i gabbiani di Roma.
Sono arrivati all'improvviso qualche anno fa. Prima non si spingevano più in là di Ostia o del Tevere. Poi si sono gettati famelici sui rifiuti ammassati nella discarica di Malagrotta. Ora sono praticamente dappertutto.
Si comportano come se la città fosse una scogliera in mezzo al mare. Se ne fregano dell'ecosistema. Sganciano cacate letali sui parabrezza. Non se ne può più.
Qualcuno dovrebbe dirglielo, intervenire.
Qualcuno dovrebbe fargli capire che esistono specie che vivono qui da prima di loro, che un piccione non è una sardina, che non si mettessero in testa di diventare troppi, di alzare la voce. Qualcuno dovrebbe allontanarli, rigettarli nel mare da cui vengono, strappargli dalle mani i nostri rifiuti.
Non c'è trippa per gatti, qui. Figuriamoci per i gabbiani.

domenica 15 maggio 2011

le partite combinate




Detesto le partite combinate.
Ancora di più le farse mal interpretate.
E Lazio-Genoa 4 a 2 giocata ieri all'Olimpico lo era. E' chiaro.
Non ho le prove, ma fossi nell'ufficio inchieste controllerei le giocate sul risultato del primo tempo (1 a 1).
Perché? Perché io c'ero e ho visto.
Ho visto nel primo tempo dopo 6 minuti l'ex genoano Biava saltare in area completamente solo e segnare.
Poco dopo tre rossoblu si presentavano senza marcatori davanti a Muslera e Palacio insaccava.
Da quel momento e fino alla fine del primo tempo io e gli altri spettatori abbiamo assistito a uno spettacolo raccapricciante: entrambe le squadre giocavano in orizzontale senza mai tentare un affondo. Lunghe serie di passaggi che gli avversari non tentavano mai seriamente di interrompere. Pochissimi falli.
La bordata di fischi che accompagnava le due squadre negli spogliatoi era la giusta ricompensa per lo spettacolo offerto.
Il netto cambio di atteggiamento dei giocatori nel secondo tempo conferma i sospetti.
Tutti iniziavano a correre con ben diversa lena. Le punte iniziavano a scattare in profondità e i centrocampisti a servirli. Sul prato sembrava essere all'improvviso rifiorita una partita di calcio. E fioccavano i gol, col risultato che conosciamo.
Che cosa significa tutto ciò?
Per me è semplice: i giocatori si sono messi d'accordo.
Probabilmente qualcuno della Lazio ha chiesto a qualcuno del Genoa minor impegno e questi ha risposto "va bene, ma facciamo che il primo tempo finisce 1 a 1". Una bella giocata su un risultato esatto del primo tempo potrebbe essere stata la ricompensa per il favore ai colleghi impegnati nella lotta per un posto nelle coppe europee.
Ripeto: non ho le prove. Ma scommetto che è andata più o meno così.