mercoledì 22 febbraio 2017

Egregia cittadina sindaca,

Chi le scrive è un cittadino che le ha dato il proprio voto alle ultime elezioni.
Capisco e apprezzo il suo fervore nel difendere i giusti diritti dei cittadini tassisti e dei cittadini ambulanti e dunque ovviamente concordo con Lei circa la necessità di garantire le altrettanto giuste soddisfazioni ai cittadini banchieri, ai cittadini costruttori, ai cittadini calciatori, ai cittadini tifosi, ai cittadini ingegneri, ai cittadini geometri, ai cittadini carpentieri, ai cittadini operai edili (chissà se romani o rumeni) e a tutte le altre categorie di cittadini che direttamente o indirettamente potrebbero essere svantaggiate da un eventuale No della Sua giunta al progetto che va sotto il nome "stadio della Roma". 
I nemici, come sempre, sono in agguato e io mai vorrei che la Sua amministrazione, già inopinatamente criticata per il viavai di cittadini assessori e per qualche scheletruccio ritrovato negli armadi di cittadini da Lei innocentemente elevati di rango all'interno delle gerarchie (e dei livelli retributivi) del Campidoglio, possa essere attaccata per scarsa attenzione agli interessi di questi o quei gruppi di cittadini. Mai sia! Per questo, La esorto a continuare sulla strada intrapresa anteponendo gli interessi reali dei cittadini sopracitati ad ogni vaga considerazione ambientale o economica. Anche perché, come sa, dalla Sua condotta dipende anche la credibilità del movimento di cui fa parte, insieme a tanti altri onesti cittadini. Alle brutte, in caso di fallimento, si potrà sempre ricordare che quel progetto fu approvato dalla giunta precedente.
Però, dopo aver visto i disegni del progetto a cui anche il suo capo Le dice di dire Sì, ciò che mi balza agli occhi è la grande bruttezza delle opere progettate. Quelle tre torri, le più alte di Roma, appaiono ai miei umili occhi di semplice cittadino un obbrobrio, una schifezza priva di qualsiasi valore estetico, una volgare affermazione di imponenza e sfruttamento del territorio. Tre siluri che avrebbe potuto disegnare uno svogliato scolaro di quinta elementare, piantati a imperitura memoria nel bel mezzo di una valle che collega la città al mare. Ora, mi rendo conto che ridurne l'altezza non gioverebbe al risultato estetico e d'altra parte eliminarle sarebbe un colpo ai legittimi interessi dei cittadini affaristi. Però mi chiedo e Le chiedo: non si potrebbe chiedere cortesemente ai cittadini architetti di ridisegnarle? Magari copiando qualche altro grattacielo bello, come quelli che si vedono ovunque nel mondo?
Capisco che la domanda è impegnativa e forse andrebbe rivolta al suo generoso capo, ma sa, Egregia Cittadina Sindaco, io è lei che ho votato ed è da lei che mi aspetto delle scelte. Pensi che bello sarebbe se un giorno, le migliaia di lavoratori che troveranno impiego in quelle torri e le moltitudini di tifosi che ci passeranno sotto per andare a vedere la loro squadra arrivare seconda, potranno dire: "Magnifici i grattacieli a cinque stelle!".


domenica 15 aprile 2012

le orchidee



Bellezze da vetrina, promettenti ma stronze.
Le vedi altezzose far mostra di sé ad ogni chiosco floreale,
immerse in un alone di snobismo e indifferenza.
Tutte estetica, colori tenui, forme suadenti.
Oltre quello, niente.
Non una molecola volatile, non uno stimolo cutaneo.
Naso e tatto con loro vanno regolarmente in bianco.
Per natura.

Saggio sarebbe lasciarle lì a tirarsela coi ciclamini.
Ma tutti ci cascano, prima o poi.
Una rapida occhiata a cotanta bellezza abbandonata nel fango
e subito scattano
training autogeno genere "io ti salverò" e mano sul portafogli.

Già, se le vuoi devi sganciare pesante.
Soldi e non solo.
Amore, cura, passione.
Serve tutto. Ma non basta mai.
Per un po' ti si concedono.
Smuovono polvere dalle cornee, lasciano vibrare le retine.
Poi basta.
Si afflosciano avvizzite sui loro lunghi gambi.
Infine cadono.

Ed è allora che assapori la beffa,
quando ti ritrovi per mesi a dare acqua a quegli zeppi insulsi,
nella speranza che da un momento all'altro ritornino.
Non tornano, non tornano mai.
Qualcuno dice che rinascano in altre forme e luoghi.
Forse è vero, metempsicosi a parte.
Forse la loro anima prende altre strade,
si impossessa di altre forme di vita.
Quella umana compresa.
Forse.

giovedì 15 marzo 2012

La Ferrarelle


Non la sopporto più.
Ce l'ho sullo stomaco ancora prima di averla bevuta.
Il suo gusto non mi piace e la trovo pesantissima.
Infatti ha un residuo fisso da record: 1.400.
Praticamente ti bevi un sasso.
Inoltre, il fatto che la sorgente da cui sgorga si trova in un territorio devastato da discariche abusive di materiali inquinanti, mi fa fare brutti pensieri.

Secondo: la campagna pubblicitaria che la posiziona come acqua "né liscia né gasata" me la pone immediatamente come simbolo della mediocrità, del compromesso, del grigio.
Immagine italiota, ignava, andreottiana, che sarebbe ormai ora di rimuovere dal nostro orizzonte culturale.

Infine, trovarmela sempre più spesso imposta come unica soluzione di H2O in bar, tavole calde e ristoranti mi fa girare le palle. Fateci caso: succede sempre più spesso.
E' evidente che c'è sotto qualcosa. Tipo che se un commerciante la rifiuta, si trova una testa di cavallo mozzata nel letto.
Un po' come con le mozzarelle di bufala, che ormai te le vende pure il giornalaio.

Per tutti questi motivi, ho deciso di eleggerla a mio personalissimo mulino a vento. Cosa faccio? La boicotto: ogni volta che entro in un locale e chiedo dell'acqua specifico: "Purché non sia Ferrarelle".
Lo so, non sferro alcun colpo al prodotto o all'azienda; non determino alcuna diminuzione di vendite.
Però mi sento un combattente impegnato.
Per la salute, per la cultura, per la giustizia!
E così digerisco meglio ed elimino qualche tossina.  

lunedì 6 giugno 2011

i rappresentanti di aspirapolvere



Detesto i rappresentanti di aspirapolvere.
E quando dico aspirapolvere avete capito quale intendo.
Non sopporto la loro finta eleganza, i loro modi affettati per tattica, le loro mani dietro la schiena rassicuranti.
Mi irritano le loro sopracciglia aggrottate e i loro visi che simulano preoccupazione quando con un gioco di prestigio ti dimostrano che il materasso di tuo figlio è gonfio di polvere.
Odio l'aria complice che si permettono quando ironizzano sul tuo vecchio aspirapolvere esaltandone l'economicità. Ti danno del tirchio sporcaccione e pretendono di esserti simpatici.
Puah!
Sono peggio dei sorci.
Te li trovi in casa che neanche tu sai come. Poi valli a cacciare!
Cerchi di fargli capire che non hai tempo, sei senza soldi, non te ne frega niente di vivere in un ambiente asettico. Che mica ti devono operare a cuore aperto nel soggiorno, no?
Embè, niente: devono per forza strusciare la loro pezzetta di carta sul tuo pavimento e sfoggiare con sicurezza due o tre numeri che indicano la superiore potenza del loro prodotto.
Ma perché li mandano in giro a rompere le palle?
Chi ha studiato questa maledettissima strategia di marketing?
Come si può pensare che un prodotto buono non si venda così, come tutti gli altri, solo perché è buono?
Quale pessimistica o offensiva teoria c'è dietro questo disegno?
Chi seleziona e/o istruisce 'sti tomi?
Io non lo so.
Posso solo dire che quel granello di polvere sul pulsante accanto al mio nome deve rimanere lì! Perché mi piace!
C'è chi è allergico alla polvere e chi ai rappresentanti di aspirapolvere.
Io sono della seconda specie. E sono un caso grave.
Perciò, giù le mani dal mio campanello!
Chiarooooo?!

mercoledì 25 maggio 2011

i flash mob



Detesto i flash mob.
M'hanno rotto le palle.
Finché erano una novità, ancora ancora, ma adesso basta!
Ormai ogni occasione è buona per organizzare questi balletti idioti per pseudoballerini frustrati.
C'è una protesta? Ecco un flash mob.
C'è da pubblicizzare una catena di ristoranti? Un altro flash mob.
Qualcuno me lo dovrebbe spiegare 'sto fenomeno assurdo. Si danno appuntamento in un luogo pubblico e inscenano una coreografia generalmente squallida, con cui intendono sorprendere gli ignari passanti. Embè? Ti senti fico o cosa?
Che poi dico: a me che corro per prendere un treno o arrivare in tempo ad un appuntamento, di te che all'improvviso salti fuori e ti dimeni in stazione o in piazza insieme ad altri deficienti del tuo stampo, che me ne può fregare? Niente, è chiaro.
Allora che vuoi? Prendere per il culo?
Dice che è un modo per "smuovere gli animi", per "spingere le persone a liberare la propria energia".
Ma cammina! Smuoviti tu da davanti, fammi il piacere, ché se la libero io la mia energia, ti mando a cagare!
Eppure il fenomeno continua a crescere, purtroppo.
Agenzie che ti organizzino una di queste pagliacciate in qualche luogo di passaggio ne trovi a decine.
E questo si capisce. E' un modo come un altro per tirare su un po' di soldi. Alla faccia dei polli che pagano. E mi sta bene. Ma alle spalle del pubblico che viene coinvolto a sorpresa e trattato da coglione. Cosa che non mi va giù per niente.
Ma il colmo è un altro. E' che mobbers pronti ad accorrere al richiamo dell'evento come mosche sulla cacca, ce ne sono a migliaia. Pazzesco.
Roba che i sociologi ci piangono tutte le notti.
Perché l'imbecillità collettiva non è un tema allegro, da studiare.
E manco da trattare, a dirla tutta.
Perciò, meglio tacere e finirla qui.

lunedì 23 maggio 2011

gli specialisti



Detesto gli specialisti.
Per loro non sei un essere umano. Sei solo un organo, quello di loro competenza. Tutto lì.
Essendo specialisti, si sentono speciali. Forse credono di saper cogliere il tutto in un particolare. L'universo in un granello di sabbia. La vita in una cellula. Chissà. Invece sono grotteschi.
Tanto per cominciare quando, con quell'arietta da scienziati, studiano i risultati delle decine di analisi che gli hai portato. Immancabilmente sbuffano e con sguardo di sufficienza ti dicono che ce ne vorrebbero altre. Che solo con quelle pezze d'appoggio una diagnosi non si può azzardare. Dunque fanno ipotesi. Rinviano. Se ne fregano se tu intanto muori. Gli interessa di più non farsi la brutta fama di uno che non ci azzecca. Sono cinici. Se li preghi di dare una risposta alla tua sofferenza, di porre rimedio al tuo dolore, ti ridono in faccia. O ti guardano dall'alto in basso come fossi un ignorante, incapace di comprendere il nocciolo della loro scienza. Perseguono solo il loro fine. Generalmente si tratta di soldi. Qualche volta di carriera, o di fama.
Scienza? Ma poi chi l'ha detto che la medicina è una scienza? Spero che i fisici o i chimici davanti ai loro strumenti non brancolino nel buio come i medici davanti alle ecografie e alle tac. Glielo leggi dietro quegli occhialetti da dottore, che non ci hanno capito niente, che prendono tempo. Uno di loro tempo fa, al termine di una lunga disquisizione sulla natura del sistema cardiocircolatorio che portava ad una certa risposta sulla vita e la morte di un mio caro, ha aggiunto: "Poi bisogna calcolare l'imponderabile, che in medicina esiste sempre". Come dire: "Due più due fa quattro. Però a volte può anche fare cinque o tre". Nel caso specifico, il risultato è stato otto. La persona in questione, giudicata moritura, è viva e alla grande.
Ma fatemi in piacere, datevi meno arie, specialisti di nessuna certezza. Che dobbiamo morire lo sappiamo già. Di lezioni sul corpo umano e le sue miserie non abbiamo bisogno. Vorremmo solo una pasticca per stare meglio. O un taglietto che ci risolva un problema. Senza troppa letteratura. Senza pose accademiche. Senza arie. E se possibile, senza conti astronomici e richieste finali tipo "serve una ricevuta fiscale?". Grazie.

domenica 22 maggio 2011

le motocicliste



Detesto le motocicliste.
Casco integrale firmato, giubbotto tecnico fashion, leggings modellanti sexy. Che vuol dire? Grazia sprecata.
Il loro esibizionismo è gratuito. Oppure nasconde un secondo fine.
Con quei modi goffi ma gentili pretendono di innalzare il vessillo della femminilità su uno dei simboli del machismo. Roba da psicopatologia di una guerriglia sessuale. Quotidiana.
Quando arrivi al semaforo loro sono già lì. Non si sa da quanto tempo. Si studiano nello specchietto. Aggiustano la coda. Non sgasano e questo è un bene. Ma non partono neanche. Al verde, tirano la frizione con maggior cura per lo smalto nascosto sotto i guanti che per i cavalli scalpitanti nei loro quattro cilindri. Poi alzano la scarpetta alla moda dall'asfalto e danno pochissimo gas. Per un po' lasciano il piedino malizioso a mezz'aria. E un involontario zig-zag della loro moto ti mostra il perché. Poi per pietà la candela fa esplodere quel po' di benzina che serve a far muovere il mezzo.
Trantacinque, quaranta chilometri orari. Questo è il massimo dell'accelerazione femminile su due ruote. Che i cento e passa cavalli frustrati sotto la sella, scalcerebbero volentieri quei fuseaux scaraventandoli ai bordi della Colombo. Però se tu, centauro maschio, entrando in un viale sgombro di auto tenti di passarle all'interno, ti stringono. Allora sterzi all'esterno e quando finalmente le passi ti guardano come faceva tua madre quando le confessavi una fuga da scuola. Vogliono darti una lezione. Farti sentire colpevole.
Tzè!
Stessa cosa quando ti infili tra due file di macchine e guadagni quarti d'ora di vita smanettando un pochino. O quando ti prendi il gusto di forzare una piega. Perché sì. E' per questo che hai comprato la moto. E invece secondo loro no. Non si fa. E' pericoloso.
Come se il rischio fosse la velocità...
Roba che con quei lunghi foulard a fiori legati intorno al collo e svolazzanti per circa mezzo metro oltre la marmitta, potrebbero rimanere decapitate ad ogni uscita. Ma se ne fregano.
Stare attente non è compito loro. Tocca agli altri.
Perché sono donne, no?
Dunque non sono loro ad andare in giro con la moto. E' il mondo a girare sotto le loro ruote.
E così sarà per sempre. Fino all'ultimo semaforo.